Introduzione

In tre miei articoli precedenti (qui, qui e qui) – a commento del recente lavoro pubblicato da Fluge e colleghi (Fluge O et al. 2016) – ho descritto uno scenario in cui una funzione ridotta dell’enzima piruvato deidrogenasi (PDH) nei pazienti ME/CFS porta a una inefficiente sintesi di energia in seno al ciclo del TCA. La ridotta funzione del PDH è stata dedotta dalla presenza di un fenomeno di catabolismo degli amminoacidi, e dalla sovra espressione degli enzimi piruvato deidrogenasi kinasi (PDK), in particolare le isoforme 1, 2, 4. Ora la domanda è: cosa causa questa alterazione metabolica? Gli Autori, sulla scorta del loro successo terapeutico con il Rituximab, ipotizzano che un autoanticorpo possa – in alcuni pazienti – attivare o disattivare dei circuiti legati alla regolazione del metabolismo energetico. In quanto segue propongo uno scenario alternativo, basato su uno studio su topi con l’influenza.

Primo atto: influenza A e piruvato deidrogenasi

Nel 2014 un gruppo giapponese (Yamane K et al. 2014) ha inoculato il virus della influenza A (IAV) in topi da laboratorio, e nei 7 giorni successivi ha condotto uno studio sulle cavie malcapitate, simile a quello eseguito da Fluge e Mella sui pazienti ME/CFS, se non per il fatto che i topi sono stati sacrificati in modo da poter effettuare le misure direttamente nei tessuti. Come si vede in figura 1.A, l’attività del piruvato deidrogenasi si riduce col passare dei giorni nei vari tessuti esaminati, con la sola eccezione del cervello. Contestualmente (figura 1.B) anche il livello di ATP scende (ovunque, tranne che nel cervello). Questa prima parte dell’esperimento si può considerare equivalente alla prima parte dello studio di Fluge e Mella, quella che ho discusso qui. Cambia il tipo di misure effettuate, ma il risultato è lo stesso: il metabolismo energetico è depresso e si ha una perdita di attività del piruvato deidrogenasi.

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Figura 1. Attività dell’enzima piruvato deidrogenasi in vari tessuti (A) e concentrazione di ATP nei medesimi tessuti (B).

Secondo atto: piruvato deidrogenasi kinasi, il solito sospetto

Esattamente come Fluge e Mella, anche i ricercatori giapponesi si sono chiesti se una espressione genica insolitamente alta degli enzimi piruvato deidrogenasi kinasi (ce ne sono quattro, indicati PDK1, PDK2…) potesse essere responsabile della ridotta attività del piruvato deidrogenasi. Infatti questi quattro enzimi hanno proprio la funzione di inibire il pirvato deidrogenasi. Come si vede in figura 2, il PDK4 aumenta rapidamente col passare dei giorni sia nel cuore, che nei polmoni, così come nel fegato e nei muscoli scheletrici.

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Figure 2. Espressione del PDK4 in vari tessuti, in funzione dei giorni contati a partire dal momento in cui è stato inoculato il virus dell’influenza.

Questo secondo esperimento è simile agli esperimenti sulla espressione genica nelle cellule mononucleari del sangue periferico, effettuati dal gruppo di Fluge e Mella sui pazienti ME/CFS (qui). Anche in quel caso si è trovata una sovra espressione del PDK4, ma anche del PDK1 e 2, che invece nei topi sono normali. Comunque esiste una sovrapponibilità fra i due risultati.

Uomini e topi

In base a quanto visto, durante i primi 7 giorni dalla inoculazione del virus della influenza A, i topi cominciano a sviluppare una disfunzione metabolica simile a quella descritta da Fluge e Mella nei pazienti ME/CFS: un aumento del piruvato deidrogenasi kinasi si associa a una perdita di funzione del piruvato deidrogenasi e a un complessivo decadimento del metabolismo energetico. Questo cosa significa? E’ difficile trarre conclusioni, ma potremmo forse azzardare l’ipotesi che:

  • la alterazione metabolica descritta nella ME/CFS altro non è che quella che si verifica durante una infezione, a partire già dal primo giorno.

Poichè i primi anticorpi (classe IgM) si formano solo una o due settimane dopo l’inizio della infezione, possiamo escludere che le alterazioni osservate nei topi siano da imputare agli anticorpi. Gli stessi autori le attribuiscono a varie citochine (vei figura 3).

immunometabolismo
Figura 3. Il virus della influenza induce la sintesi di citochine che, a loro volta, attivano la sovra espressione di PDK che inibisce il piruvato deidrogenasi.

Questo significa che una possibile ipotesi per il difetto del piruvato deidrogenasi nella ME/CFS può essere semplicemente la presenza di una infezione cronica, in accordo con quanto suggerito da Antony Komaroff, fra gli altri (vedi qui). Ovviamente questa è solo una fra le tante ipotesi possibili.

E il rituximab?

Se gli anticorpi non c’entrano, allora perché il farmaco rituximab – che uccide le cellule B che esprimono il CD20 – ha un effetto terapeutico in più di metà dei pazienti ME/CFS? Questa è un’ottima domanda, se si potesse rispondere alla quale saremmo più vicini alla soluzione. Tuttavia si consideri che le cellule B non sono solo fabbriche di anticorpi, ma sono anche prensentatori di antigeni, produttrici di citochine (Frances E. Lund 2009) e rilasciano DNA mitocondriale (dati non pubblicati, anticipati da Anders Rosén in questo video, minuto 14:16) esattamente come i mastociti (Zhang et al. 2012). Si ritiene che il DNA mtocondriale sia fortemente infiammatorio (infatti assomiglia a quello di un batterio) e quindi potrebbe essere la causa di diversi disturbi (Zhang et al. 2012), tra cui anche magari la disregolazione del piruvato deidrogenasi. Quindi l’effetto del rituximab nella ME/CFS non è necessariamente legato alla presenza di autoanticorpi.

Conclusione

Abbiamo visto che l’alterazione metabolica recentemente ipotizzata nella ME/CFS (Fluge O et al. 2016) è presente anche durante i primi 7 giorni di una infezione virale. Quindi il detto comune secondo il quale “la CFS è come una influenza che non passa mai” sembra corretto anche da un punto di vista metabolico, e potrebbe avere un potere descrittivo ben più profondo di quanto si sia potuto immaginare fino ad oggi.


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3 thoughts on “L’influenza che non passa mai

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